Psico-esercizi per elaborare la fine di una relazione

È meglio aver amato e perso che non aver amato mai.

 

La fine di una relazione costringe a compiti forzosi ed impegnativi. Come spazzolare via dal cuore l’amore perduto, raccoglierlo in una busta di nylon e riporlo da qualche parte. Realizzare il distacco, comprendere quel senso di mancanza che fa così male dentro. Lasciare andare l’altro, “disattivarlo” nel nostro mondo interiore. Rimodellarsi su nuovi equilibri. Può essere davvero tutto molto complicato, in parte anche quando siamo stati noi stessi a volerlo. La separazione in una relazione è senza dubbio tra le esperienze più dolorose della vita. Non ci si sente mai pronti anche se in passato abbiamo già conosciuto abbandoni e distacchi. Anzi, spesso succede di essere ancora più fragili e spaventati. Studi sullo stress hanno scoperto che la perdita è l’evento più logorante della vita, che rende vulnerabili emotivamente, persino più esposti a malattie ed incidenti. È anche in grado di provocare dolore fisico ed un organo direttamente coinvolto, guarda caso, è proprio il cuore. Secondo alcune ricerche il costo della separazione sul piano fisico ed emotivo può addirittura essere maggiore di quello imposto dalla morte del coniuge, perché il "lutto" per qualcuno che è vivo è per certi versi ancora più complicato da superare.

 

Un legame importante che si spezza ci porta in effetti a vivere un lutto. Quando perdiamo qualcuno che ritenevamo speciale, perdiamo anche parti di noi. È come uno strappo, una sorta di amputazione emotiva che ci costringe a dover forzatamente vivere senza quel nostro pezzo. É qualcosa che non dipende dalla nostra volontà. Il modo in cui affrontiamo questa esperienza dipende da molte cose, da quanto eravamo preparati, dalle risorse interne, dall’eventuale aiuto esterno, dalla storia personale. Non tutti siamo sensibili e quindi vulnerabili allo stesso modo, non sempre noi stessi reagiamo ugualmente al dolore. Ma il pedaggio da pagare per le separazioni è in genere sempre doloroso. Secondo la scienza esiste un modello più o meno comune di elaborazione del "lutto" nonostante le particolarità individuali, diciamo una griglia di riferimento che non ci dice per forza cosa proveremo ma chiarisce cosa sta succedendo e ‘normalizza’ l’esperienza della rottura di un rapporto. Soprattutto ci fa capire che si tratta di un processo e non di uno stato e quindi che non rimarremo per sempre vittima della disperazione anche se ci sentiamo abbattuti ed inconsolabili.

 

È stato visto che la mancanza di una persona significativa provoca una sequenza tipica di risposte: protesta, disperazione, rabbiosi tentativi di distacco. Inizialmente anche negazione. "Come può essere successo? Non è possibile…" È il momento in cui ci riempiamo di fantasie mentali, ci attacchiamo a piccole cose nell'illusione di recuperare, siamo molto sensibili ad un messaggio che di solito non arriverà mai o, se anche arrivasse, sarà sempre qualcosa di voluto o di sgradito. La sola idea che una persona così intima per noi non esista più va oltre la nostra comprensione, di fatto non ci crediamo. È solo più tardi che sprofondiamo ancora di più nel dolore, diventiamo talvolta persino instabili psichicamente tra momenti di iperattività, di regressione, di angoscia, di disperazione. E anche di rabbia. Sì rabbia, per chi ci ha abbandonato dopo tante, ormai palesemente false, promesse. "Come ha potuto farmi questo?" "Proprio lei che..." È anche il momento in cui decidiamo sia una buona idea andare in giro a dire a tutti quanto sia psicopatico il nostro ex. Recriminazioni e sensi di colpa possono accavallarsi, si è portati ora a demonizzare ora a idealizzare l’altro, di solito perdendo lucidità. Per quanto paralizzante e controproducente, questa fase fa almeno capire che stiamo reagendo. Indica che da qualche parte dentro di noi il disagio sta montando per portarci a vedere la relazione dalla nuova prospettiva che si sta palesando, reale e tremenda, davanti ai nostri occhi.

 

Tutto ormai ci spinge al cambiamento, per arrivare ad una sorta di accettazione, per fare pace con la perdita, per riuscire ad abbandonare la relazione ed andare avanti comunque con la propria vita. A volte sembra che questa fase non arrivi mai, tanto si è ancora ancora impigliati negli stadi precedenti. Può aiutare il pensare che non si tratta mai di un processo lineare e diritto, non ci sono tempi prestabiliti, non si può velocizzare nulla e, soprattutto, non esistono sconti sul dolore. Si tratta di un percorso interiore che ci porta a porci domande, ad esplorare nuove possibilità, a sfidare i nostri assetti precedenti. Per poi cambiare comportamento, aspettative, definizione di noi stessi. Forbici immaginarie possono aiutarci a tagliare i ‘Perché?’ dai pensieri, quei ‘perché’ che ormai colonizzano la nostra mente e diventano i tormentoni delle nostre giornate, bloccandoci nella necessità di trovare risposte che ancora non siamo in grado di trovare. Ad un certo punto occorre accettare comunque ciò che è, liberarci e aprire a nuove soluzioni. Occorre pensare seriamente a cosa fare di quel che resta della propria vita. Non è mai proficuo coprire o mascherare il dolore, anche se sulle prime può sembrare una scorciatoia. Il dolore deve poter trovare canali di sfogo. Non pensiamo da subito di essere in grado di andare avanti, di cambiare improvvisamente la nostra realtà emotiva. Diamoci tempo. Anche per le decisioni importanti. Consideriamoci convalescenti, prendiamoci cura di noi stessi, impariamo a volerci bene. Facciamo qualcosa per guarire ogni giorno: trovando supporto negli altri, scegliendo di fare cose che ci fanno stare bene senza aspettare "l’umore giusto" per agire, chiedendo aiuto se ne sentiamo il bisogno. Prepariamoci in ogni caso a cambiare: in qualche modo bisogna auto-riprogrammarsi.

 

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